Sanremo, le canzoni e Chernobyl

Il Festivàl della canzone italiana.

Il 26 aprile 1986.

Le belle canzoni di una volta e ‘quello che c’è oggi’.

Cominciamo bene, penserete voi. Come i tre dati del problema esposti sopra possono stare insieme? È un problema mio e cercherò di renderlo chiaro nel seguente scritto, spero non facendola troppo lunga.

Eppure un minimo bisogna argomentare: è uno dei grandi problemi di questo tempo, non avere più la capacità di leggere più di tre frasi in fila, non arrivare in fondo all’e-mail o al messaggio whatsapp e poi rispondere una cosa per l’altra, prendere i proverbiali fischi per fiaschi. Specialmente quando le tematiche sono di ampio respiro, ci vuole un certo tempo e spazio per svolgerle e dettagliarle. Per esempio.

Si fa un gran parlare (anzi talvolta pare che non si riesca a parlare d’altro) del fatto che le grandi canzoni siano sempre più rare da trovare, che la musica leggera sia sempre più povera, che ormai tutto sia stato detto e che siamo in un’epoca di tardo impero. Da una parte. Dall’altra invece si difende qualsiasi cosa minimamente nuova come “the next big thing”, magari non disconoscendo il valore del passato, ma dicendo che è al presente che bisogna rivolgersi.

Questi sono, naturalmente, i due estremi, il bianco e il nero, risiedendo nel mezzo tutta una serie di posizioni intermedie. Fra le quali la mia, che non sto né da una parte, né dall’altra, non smettendo mai di cercare nuovi fermenti, ma al tempo stesso cercando di valutare i fenomeni musicali con la maggior parte di fattori possibili in gioco.

Vorrei provare a partire, in questo primo approccio, da un fatto accadutomi negli ultimi giorni. Un po’ per piacere e un po’ per dovere professionale, mi sono ascoltato tutte le canzoni dell’ultimo Festival di Sanremo, quello del settantennale (per chi leggerà questo blog fra qualche decennio, siamo nel febbraio del 2020, uno di quelli con 29 giorni).

Mia Martini al Festival di Sanremo 1989

Proprio durante i giorni di questo Festival, mi è anche capitato di dover mettere insieme una silloge di canzoni dei Sanremo del passato, da cantare in una attività musicale che conduco con alcuni amici in una residenza assistita. Sebbene in parte smentito da alcune delle canzoni presenti al Festival 2020, ho tuttavia notato in alcune canzoni del passato, oltre a belle melodie e testi di grande spessore, una grande maestria armonica. Faccio un paio di esempi per non rimanere nel vago: Almeno tu nell’universo, portata da Mia Martini nel 1989 e scritta da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio (peraltro coverizzata da Tiziano Ferro nell’ultima edizione), oppure Come saprei portata da Giorgia e vincitrice nel 1986, o per aggiungerne una terza, Un’emozione da poco, (qui audio originale montato sul video di Sanremo 1978) rivelazione della giovanissima Anna Oxa nel 1978 uscita dalla penna di Cristiano Minellono per quanto riguarda i testi, e da quella di Ivano Fossati per la musica.

FESTIVAL SANREMO 1978 – NELLA FOTO ANNA OXA, PA – 01-00151974000003 – OLYCOM

Ecco, è emersa una discutibilissima osservazione: spesso a fare grande una canzone contribuisce anche una certa ricchezza armonica. Sarà la scoperta dell’acqua calda – potrà osservare qualcuno – sarà la deformazione del musicista che ha sempre bisogno di complessità. Eppure, nonostante talvolta si trovi anche una certa ampiezza melodica, le canzoni con un’armonia ferma, legata sempre e solo a pochi accordi (e talvolta ad una sola progressione armonica) immediatamente mi interessano di meno, mi danno meno spinta di altre. Per fare un esempio extra-musicale, una ricchezza armonica che accompagna melodie e liriche rassomiglia più ad un panorama nuovo che si apre dietro ad ogni curva, laddove una armonia sempre identica a se stessa mi rimanda invece ad una landa brulla e non affascinante.

Mi rendo conto che quanto esposto sopra è solo l’inizio di un ragionamento. Ma potremo approfondire in seguito, proponendo esempi, magari anche analizzando qualche brano e verificando la tesi, che riassumerei così (molto, forse troppo sinteticamente): quello che rende grandi certe canzoni, anche senza fare distinzioni – se non magari quantitative – fra presente e passato, può essere rappresentato dalla ricca tessitura armonica? Oppure questa è solamente una paranoia da musicista che non ha nessuna attinenza con il mondo reale di chi ascolta musica?

Oh, oh… e Chernobyl? Giusto, Chernobyl. Città dell’Ucraina ai confini con la Bielorussia dove il 26 aprile 1986 ci fu un disastro nucleare. Un grande del pensiero occidentale dello scorso secolo, Don Luigi Giussani, scrisse qualche anno dopo la catastrofe che “È come se tutti i giovani d’oggi fossero stati investiti da una sorta di Chernobyl, di enorme esplosione nucleare: il loro organismo strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non lo è più”. Giussani lì si riferiva al potere che attraverso la moda forgiava (e forgia) le coscienze dei giovani, rendendoli più difficilmente permeabili alla novità, alle domande sulla vita. A poco meno di trent’anni di distanza queste parole suonano, senza esagerare, profetiche.

Ora, senza voler tirare conclusioni affrettate e cercando di non generalizzare troppo, tento di ritornare al discorso musicale. Di musica semplice o complessa, articolata o più immediata ce n’è sempre stata, questa non è una novità. Tuttavia io riscontro una minore capacità (non solo nei giovani, in generale), di cogliere ed apprezzare le sfumature armoniche, ma anche dei particolari degli arrangiamenti, insomma una ricchezza di elementi musicali, forse proprio perché atrofizzati, troppo abituati a canzoni semplici fino ai confini della sciatteria, musica usa e getta che dopo pochissimo non si ricorda più. Ripeto, è successo anche nel passato di avere canzoni molto leggere, financo banali, andate nel dimenticatoio molto presto. Ed altre, anch’esse semplici, che sono rimaste per altri motivi. Ma – giusto a titolo di esempio finale – nel 1983 andando ad una gita di classe in treno un mio compagno mi fece sentire una canzone che i più ascoltavano in quel periodo e che ritenevano pop, di alto livello musicale, ma pop. Era Rosanna dei Toto . Solo per far riflettere, eh, non per pontificare. Lascio tutte le questioni aperte e alla prossima.

Lascia un commento

Un commento su “Sanremo, le canzoni e Chernobyl”