I BEATLES

Questo articolo è parte di una serie di supersintetiche schede su alcuni generi musicali. Le schede sono:

Il blues: l’orgine di tutto
Il Country e il Western
IL RHYTHM AND BLUES
I Beatles
La canzone: 2 esempi
Il Jazz
Hard Rock ed Heavy Metal
Heavy Metal

Queste schede erano nate per il bollettino mensile di una parrocchia, qualche anno fa, ma mi sembrano ancora valide.

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Circa 250 canzoni in 8 anni.
Una creatività fuori dal comune.
Una serie di innovazioni e si strade mai percorse prima nella musica leggera.

Insomma una svolta epocale.

Lo spazio a disposizione non basterebbe nemmeno solo ad elencare tutte le espressioni geniali ed innovative nel percorso dei Beatles. Sì, perché è di un percorso che si tratta. In principio era una delle 50 band di rock’n’roll che suonavano in un quartiere di Liverpool. Città di mare, porto, in cui arrivavano i primi dischi di quel rock’n’roll che qualche anno prima aveva cambiato il mondo, o almeno il mondo dei giovani. Ed i Beatles cominciano così (Live at BBC, doppio CD di registrazioni in diretta radiofonica, 1962), riproducendo grazie alla voce alta e graffiante di Paul (Mc Cartney, basso e voce) alla chitarra ritmica di John (Lennon, chitarra ritmica, armonica e voce) e agli interventi solistici e ai cori di George (Harrison, chitarra solista e voci) i successi dei campioni statunitensi. Alla batteria c’era Pete Best e poi c’era anche Stuart Sutcliffe, che rimase ad Amburgo con una modella nordica di cui si era innamorato. Ad Amburgo i 5 suonano per nove mesi per tre spettacoli al giorno di due o tre ore l’uno, una palestra formidabile che li rende capaci di affrontare qualunque pubblico. Poi tornano a Liverpool e finalmente, dopo qualche rifiuto, trovano un contratto ed incidono la prima canzone composta da loro (Love me do, 1962), come disse allora un critico musicale, un muro di mattoni grezzi messo all’improvviso in bella mostra all’interno di un salotto. Una canzone semplice, immediata, senza alcun dubbio con spunti blues, in poche parole geniale. Da qui, per alcuni anni, il tentativo dei quattro (Stuart era rimasto ad Amburgo, ricordate, ed al posto di Pete Best era arrivato Ringo Starr, all’anagrafe Richard Starkey) fu quello di ricreare nei loro dischi l’elettrizzante, scoppiettante atmosfera che si respirava nei loro show dal vivo. A detta di chi c’era, non ci riuscirono mai appieno, ed ascoltando i loro dischi (ad esempio With the Beatles o A Hard day’s night, 1964) c’è da chiedersi di quale potenza fossero le loro esecuzioni live…

Comunque, tutto ciò avviene mentre i quattro cominciano a girare il mondo in tournée massacranti, ed intanto scrivono, registrano dischi, rivoluzionano il concetto stesso di studio di registrazione, inventano il film musicale e realizzano dei veri e propri video ante-litteram (vedi il film Magical Mystery Tour e al suo interno la strepitosa canzone di Lennon I am the walrus ) e tante altre belle cose. Ma siamo al 1966, anno in cui, per la precisione dopo il concerto al San Francisco Candlestick Park, lunedì 29 agosto, i Beatles smettono di esibirsi dal vivo per dedicarsi esclusivamente alla realizzazione delle loro canzoni in studio di registrazione. Per la verità suoneranno almeno altre due volte ufficialmente dal vivo: All you need is love per l’inaugurazione delle trasmissioni in Mondovisione e poi verso la fine della loro storia, nel famoso concerto della terrazza. Ma ricordatevi (ed andate ad ascoltarvi) i cinque assi che i Beatles giocano da questo momento in poi: Revolver, 1966 – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, 1967 – The Beatles, meglio noto come the white album, 1968 – Abbey Road, 1969 – Let it be – 1970. Fine.

Certo non possiamo dire che tutto quello che hanno fatto, composto, suonato e realizzato i Beatles sia perfetto. Sarebbero degli dei (e qualcuno ad un certo punto aveva creduto qualcosa di simile). Ma se, per esempio voi ascoltate i primi sei brani di Revolver, troverete ad ogni pagina voltata uno scenario diverso, un ambiente musicale, dei colori diversi, adeguati perfettamente a quello che si sta raccontando in ogni canzone, dalla ruvida Taxman, proseguendo con la classicissima Eleanor Rigby, e poi l’assonnata-lennoniana I’m only sleeping, e via con le reminiscenze indiane di Harrison in Love you too, un Mc Cartney particolarmente ispirato nella splendida canzone d’amore Here, there and everywhere, per finire il sestetto con la divertentissima (ancora oggi) Yellow Submarine cantata da Ringo. Ecco, solo un esempio. Certamente qualcosa di innovativo non sempre è necessariamente geniale. Questa volta, per una di quelle combinazioni misteriose che nella vita dell’uomo avvengono poche volte, questa volta è stato così. E’ il momento di ascoltare qualcosa, cercatelo in qualche scaffale impolverato, ne vale la pena.