Il canto sacro (e non…)

Due fatti sono accaduti negli ultimi tempi, nel mio piccolo li ritengo collegati in maniera provvidenziale, e ve li propongo.
Nel rimettere a posto gli archivi della Scuola di musica in cui lavoro, salta fuori un numero del 1992 della Rivista Internazionale di Musica Sacra. Mi trovo così a leggere un articolo di Bruno Meini sul canto dell’assemblea nelle celebrazioni liturgiche. Nelle 50 pagine del contributo, insieme a una serie di osservazioni che meriterebbero approfondimenti e discussioni (ma non ve n’è qui modo né spazio), una in particolare mi colpisce: i canti usati per la liturgia spesso soggiacciono ad intromissioni ritmico/melodiche o testuali provenienti dal mondo profano. Mi saltano alla memoria una serie di esempi verificati personalmente, che puntualmente l’autore cita o riporta. E mi colpisce soprattutto una sua espressione in cui mi ritrovo: la preoccupazione che i testi non siano “a sfondo sentimental-sociologico o solo vagamente religiosi”, ma degli di comparire ed essere eseguiti e cantati in una liturgia. Cioè effettivamente sacri.
Il secondo fatto è molto più breve: che respiro e che esperienza è stato imparare e cantare l’ultima canzone scritta da Claudio Chieffo e dagli amici spagnoli, Reina de la Paz. Nessuno dei rischi descritti sopra era presente; solo un riuscito tentativo di aderire al vero. E così abbiamo pregato due volte.